La società precaria e la figa come droga sociale

Quando resti in un luogo piccolo, con la stessa gente, lo stesso personale, gli stessi colleghi, per troppo tempo (e per me quasi un mese è già troppo) hai necessità di linfa che viene dall’esterno. Per resistere. Per non morire. Per non farsi risucchiare da deliri che fuori non avrebbero senso.

Il villaggio è un microcosmo, con i suoi ritmi, le sue dinamiche, il suo slang, le sue forme idiomatiche e le sue crisi esistenziali e quelle amorose e gli esercizi di micropotere. C’è perfino tempo di mettere in atto comportamenti competitivi. La competizione per essere il re delle cucine o la migliore a tenere la cordicella tesa quando l’ospite del villaggio correrà per afferrarla e vincere in premio non so cosa (uno dei soliti giochi scemi che piacciono al boss capoanimazione). Ci sono le battutine acide e i riferimenti velenosi e tutto quello che all’interno di un contesto piccolo si possa immaginare.

Eppure non è questo a preoccuparmi. Sono cose che ho già vissuto altrove e non mi serviva certo un reality televisivo con un tot di persone dal dizionario ridotto a farmi capire quali sono le dinamiche sociali all’interno di un gruppo chiuso e ostaggio delle telecamere.

Anche qui abbiamo le telecamere, quelle di sorveglianza, “per sicurezza” dicono. Però le telecamere non ti difendono dalle molestie. Devi farlo da sola.

Ma, dicevo, non è questo a preoccuparmi. Mi preoccupa il fatto che dopo tre settimane comincio a dimenticare qualche parola e a parlare come questa gente. Ho paura che il mio vocabolario si riduca sulla scia delle banali forme di locuzione che vengono usate qui.

Ci sono volte che penso che si tratti di esseri al primo stadio della conoscenza. Una scimmia avrebbe più modi per esprimersi. L’ignoranza è palpabile e l’assenza di un degno vocabolario corrisponde all’assenza di fantasia.

Come per il bar, tanti dipendenti (servi, schiavi, precari, sfruttatissimi) sono molto più colti della maggior parte dei clienti e sicuramente lo sono di quelli che hanno responsabilità elevate all’interno della struttura.

Non c’è fantasia, creatività, immaginazione. C’è miseria, mediocrità, a volte persino squallore.

Non dico questo perché mi fanno dormire in un loculo buio, stretta assieme ad una collega in pochissimi metri per due. Lo dico perché vedo le facce di chi lavora in cucina (con grande rispetto per tutte le persone sfruttate a fare gli schiavi in quel posto) e non posso che ritenerli povera cosa se tutto ciò che sanno dire è che il villaggio è un buon posto per lavorare perché c’è figa.

Dove la figa diventa l’elemento essenziale per intrattenere gli ospiti e rendere la schiavitù più accettabile agli sfruttati.

E non è forse questo quello che succede fuori da qui? Non è questo il principio sul quale è basato l’intrattenimento nazionale?

La figa come deterrente all’abbrutimento, all’imbarbarimento, come condizione essenziale a far andare avanti la macchina economica. La figa come lo zuccherino da dare in pasto agli operai, ai precari, i disoccupati, il terziario, i dirigenti. E a proposito di dirigenti alla fine sono loro e poi i capi, quelli che stanno immediatamente sopra di loro, che quella figa possono guardarla più da vicino.

Agli operai basta la fotografia, una ripresa televisiva, un manifesto pubblicitario.

E se la figa è il motore dell’economia pensate a quanto costi il fatto di sottrarsi a questa funzione e di rivendicarne un’altra. Pensate quanta potenza repressiva scatena il fatto di dire che con il corpo che ho posso farci quello che voglio, e posso, eventualmente, anche fregarmene di distrarre un uomo perché degli uomini non mi frega niente. Nel senso che non vivo in funzione loro o che, come dice una mia amica, qualche volta possono piacerti le donne.

Pensate a cosa possa voler dire NON essere disponibili a fare le donne oggetto, a rifiutare con forza la molestia di un ospite, a non voler fare la “Cosa” che può essere “toccata”, meglio, “presa” da chi (magari l’operaio che osa rivendicarla) non potrebbe averla o “pretesa” da chi immagina che buttandoti in faccia un po’ di soldi ti ha già soddisfatto e zitta e basta.

Così credo si sia costruita nella società la leggenda del diritto alla figa. Solo che quella è roba mia, è parte di un tutto e quel tutto, cervello incluso, per la sfortuna di operai, dirigenti e altri, sono io.

Sono qui, rinchiusa volontariamente, per lavoro, in un mercato di chiappe, fighe, bocche, curve, seni, che sembrano esistere solo per sollazzare vicini di bungalow o per rendere più tollerabile la vita dei lavapiatti.

Sono qui e non ho nessuna voglia di essere la droga sociale di nessuno.

Ps: sapete che anche qui – come al bar in cui facevo il part time in città – propongono di fare il calendario – da dare in ricordo agli ospiti – delle ragazze e dei ragazzi più carini del villaggio? 


10 responses to “La società precaria e la figa come droga sociale

  • eleonoratrani

    mala femmina…
    ti capisco troppo bene…
    sempre dalla tua parte, dalla nostra parte.

  • Cornelia

    In un mondo che vende immagine, compra immagine, mangia e beve immagine, insomma, campa sull’immagine, questo e’ il minimo che possa capitare.

    Il microcosmo non e’ altro che lo specchio in piccolo di cio’ che succede in un mondo piu’ esteso.

    Le persone intelligenti e consapevoli se ne rendono conto; dello squallore e della bruttura di cio’ che le circonda sono terrorizzate e , ancor piu’, hanno paura di esserne addirittura “inquinate” o “contaminate”.

    Tuttavia, GUAI, quando si e’ costretti (anche per brevi periodi) a dover frequentare o lavorare in posti dove ci si sente fuori luogo a mostrare anche minimamente di non essere “allineati” od “omologati”.
    Le pene sono l’esclusione, la delazione, se non il mobbing.
    Guai a mostrare di saperne di piu’ di chi comanda: se se ne accorgono il tuo lavoro e la conseguente possibilita’ di guadagno sono finiti!
    Guai ad usare un vocabolario meno ristretto, automaticamente diventi “superba”, quindi individuo indesiderabile.
    Guai a non mostrarsi, almeno apparentemente, “disponibile”: ti dicono che se non avevi voglia di fare questo lavoro, potevi anche non presentarti alla selezione!

    La soluzione? Usare la mimesi, ma quanta fatica!
    Alla fine di queste esperienze ci si stanca maggiormente a controllare se stessi, che non a spendere energia nel lavoro spicciolo.

    A volte mi chiedo dove ci portera’ tutto questo stress derivato da incertezza, forzature, insoddisfazione, obbligato autocontrollo e “recitazione-volente-o-nolente”. Arriveremo a diventare vecchi?

    Cornelia.

  • tantopercantare

    Concordo! Una società fondata sulla figa … il “bello” è che chi cel’ha (noi donne) non contiamo un cazzo… perchè “non conta una figa” non si può dire vero?

  • canicola

    Leggendo mi è venuto in mente questo film indipendente (e allucinante) che avevo visto un po’ di tempo fa:http://www.bizzarrocinema.it/recensioni/sottosuolo/speciale-ss-sunda-flesh-doll-operetta-the-diabolikal-super-kriminal/ (il primo film dei due film) in cui lo stato forniva “figa lobotomizzata” di diritto…

  • Just Laure'

    Ho un’idea. Quando ti proporrano di fare il calendario, da dare in ricordo agli ospiti, coi tipi più carini del villaggio, potresti avanzare una controproposta: un calendario, da dare in ricordo a chi, come te, ha lavorato, coi i tipi più intelligenti del villaggio, siano essi ospiti o personale del villaggio. Lo so, sarà un opuscono di poche pagine… ma vuoi mettere il divertimento di andare in giro a cercarle le persone intelligenti? 🙂 Resistenza, Mala! E un abbraccio grande! 😉

  • Ena

    La figa è sempre stata una droga sociale, o almeno negli ultimi millenni e nelle società a noi vicine: le donne erano bottino di guerra, venivano malmenate e stuprate come antistress, oltre che regalate come riconoscimento.
    In una società in cui siamo riusciti a mandare dei robot su Marte è molto triste vedere che nulla è cambiato.

  • Lorenzo Gasparrini

    http://www.blockmia.it/vale.html

    Conosci? Puoi scaricarlo e leggerlo poco alla volta, o quanto i tuoi occhi possono farcela sullo schermo.

    Dàje Malafé.

  • Just Laure'

    ps. anche stavolta leggendo di “figa” m’è venuta l’ispirazione… Se trovi un pò di tempo e vuoi allontanarti da quel “mercato di chiappe” (ps. splendida definizione!), ti regalo il mio racconto 🙂 http://justlaure.wordpress.com/2011/07/12/la-pisellus-preponderandus-matilda-e-l%E2%80%99amore-precario/
    Un abbraccio, resistenza! 🙂

  • Malafemmina

    @Lorenzo grazie 🙂 non lo conoscevo. lo leggerò a poco a poco.

    @Laura, grazie del regalo, è un racconto esilarante!!! Giuro che quando torno a casa mi stampo tutte le avventure di matilda e i tuoi racconti e li tengo per i miei momenti bui. :***

  • Sei ricco, mi annoi e non mi interessi « Malafemmina

    […] il giro di perlustrazione mi ha ricordato la storia del calendario per gli ospiti. Gli ho risposto prendendo spunto da un suggerimento della mia amica Just Laurè. La sfida sarebbe […]

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