Archivio dell'autore: Just Laure'

Per tutto questo e molto altro

Il senso delle azioni.

La  vita fin qui è stata un’infinita, continua ricerca di senso. E non per vezzo o pretesa di superiorità, ma solamente per assaporare l’idea che non è inutile questo tempo, che la vita non è solo un attraversamento veloce e sempre uguale, ma qualcosa in più, qualcosa che abbia un senso.

Il senso delle relazioni.

La comprensione dei rapporti umani, della loro complessità. La possibilità di trovare negli altri quello che a me manca, ciò che mi arricchisce e mi determina semplicemente perché non mio, perché non m’appartiene.

Per non svegliarmi paonazza nella notte e capire di non avere nessuno da guardare e con cui condividere anche il silenzio,

per non trovare di fronte ad uno specchio l’immagine sbiadita di una incerta umanità,

per non decidere che forse non c’era strada da percorrere, per tutto questo e molto altro…

per ogni domanda a cui so di non poter dare risposta alcuna,

perché non conosco altro che questa precarietà,

nient’altro che il respiro corto e i pensieri stanchi, nient’altro che gli istanti prigionieri di un presente affannato…

per tutto questo e molto altro…

il senso delle azioni.


Mia sorella, La chimicA sprovvista di tacco

Succede che torno a casa dopo una giornata di lavoro ingabbiata – la giornata – in una cappa di calore tale da farmi sudare le sopracciglia.

Succede che le sopracciglia sudano di continuo, non una volta ogni tanto, ma di continuo, dando al mio viso la simpatica sensazione di essere un pezzo di carne tritata in putrefazione.

Succede, quindi, che sento di essere particolarmente nervosa e poco aperta al confronto.

Succede, allora, che gironzolo su internet alla ricerca di qualcosa.

Non so cosa. Qualcosa.

Qualcosa che mi rilassi o che tiri fuori quel nocciolino di rabbia che stazione al centro del mio stomaco e che, nonostante il caldo, non riesce a sciogliersi e ad andar via.

Leggo qualcosa.

Prima di spiegare cosa, vorrei dire che ho una sorella.

E’ più piccola di me e ha il doppio dei miei ricci in testa, e quando l’ho vista per la prima volta, poche ore dopo la sua nascita, era così bella con le guance rosate e i ricci biondi, fitti fitti, appiccicati in testa che credevo fosse una pesca. Poi, ha iniziato a piangere e ho dedotto che, forse, una pesca vera e propria non lo era, ma continuava a piacermi. Vedevo in lei una luminosità che non rintracciavo né in me né negli adulti che mi stavano attorno.

Succede che col tempo, quella pesca luminosa diventa grande, una deliziosa adolescente poco attenta ai brillantini dell’ultimo ombretto Chanel e molto più interessata alle storie, le migliaia di storie che fanno capolino fra le sue mani, trasportate da libri di ogni dimensione.

Succede, poi, che splendida, luminosa pesca  diventa adulta.

Si risveglia donna, forte ed indipendente in una città straniera, a migliaia di chilometri da me e dai miei nocciolini di rabbia che il tempo e la distanza si sono preoccupati di moltiplicare.

Succede che questa donna di mestiere fa la chimica (ho scritto “LA” e non “il”).

E non la “chimica” con la “i” a forma di rossetto, come pubblicizza la campagna della commissione europea, ma la chimica con la “i” normale. La mia pesca luminosa va a lavoro in Doc Marten’s e jeans e, nonostante ciò, riesce a svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi. Roba da non crederci!!! Ogni mattina mi sveglio pensando all’angoscia che deve provare mia sorella nel dover affrontare un’intera giornata di lavoro, in piedi, di fronte ad un tavolo sommerso di provette da analizzare e test da esaminare senza un sandalo col tacco dodici e il plateau di dimensioni quantomeno adeguate al tacco!!! È un pensiero che mi angoscia, lo giuro!

E che dire degli occhiali!!! Gli occhiali! Mia sorella – la chimica – porta gli occhiali da quando il suo occhio pigro ha iniziato a fare le bizze. Aveva meno di sei anni e per convincerla a tenerli su, la mia mamma doveva cantarle in continuazione una filastrocca che faceva più o meno così “cin cin dai… Noi siamo speciali, portiamo gli occhiali, dai vieni con noi…”.

Se mia sorella – la chimica – avesse saputo che gli occhiali sarebbero stato l’oggetto glamour da inserire sul CV, bè, credo che avrebbe risparmiato a mia madre un sacco di raucedine.


E quindi uscimmo a riveder le stelle… e se la notte è piccola?

Oggi m’è tornata in mente una persona.

Lei aveva:

18 anni, i  capelli cortissimi e un sorriso di quelli che non vedi troppo spesso ma che quando incrociano il tuo sguardo non ti lasciano assai aria nei polmoni, almeno non quanta te ne serve per continuare a respirare.

Lei era:

una  studentessa della facoltà di Scienze Politiche dell’Università della Calabria.

Le dicevano:

“dovresti fare la maestra o, al limite (al limite), l’assistente sociale, che la politica non è cosa ppè fimmine.

Lei:

non avrebbe studiato altro, non avrebbe ascoltato altro.

Lei aveva:

un’immagine impressa nella mente.

Immagine di  fimmina circondata dai suoi libri.

Voce di fimmina decisa e fiera, parole e idee che tramortivano di senso tutti i masculi stipati in una polverosa sezione di partito.

Lei voleva:

essere così.

Lei aveva:

23 anni, i capelli fin sotto le spalle e il sorriso un po’ malinconico.

Lei  era:

fimmina laureata in Scienze Politiche all’Università della Calabria.

Lei sarebbe diventata

precaria in una terra in cui il lavoro è prima di tutto declinato al maschile, perché una fimmina può sempre rimanere a casa a fare i pomodori, senza avvertire l’esigenza di spingere i pensieri al di fuori di un vasetto che ribolle a bagnomaria.

Lei era ed è ancora:

sangue, pelle, ossa in una terra di masculi fatti pure loro di sangue, pelle ed ossa.

Ma non tutti i masculi sanno che è davvero  così.

Oggi m’è tornata in mente questa splendida fimmina perché anche io ho studiato all’università della Calabria, uno spazio di cultura critica in un Sud oppresso da una miseria antica.

Ho pensato a questa fimmina e a tutte le altre che negli anni ho conosciuto fra i banchi delle aule dell’università della Calabria, di un’università che per me è stato uno spazio di cultura critica anche e soprattutto al controllo ed al governo sempiterno  di masculi inamovibili dalle loro poltrone.

Ho pensato a questa e ad altre fimmine perché ho letto da qualche parte, che nei prossimi giorni, l’università della Calabria ospiterà  “Le notti bianche”.

Iniziativa di per sé interessante, se non fosse per il fatto che la presenza delle fimmine è praticamente nulla…

Eccezion fatta per le danzatrici del ventre…

Stupore? Ma no!

E allora mi va di pubblicare un testo scritto dal COLLETTIVA “La notte è piccola”.

Dedicate qualche minuto a questa lettura, non può che fare bene.

Università, sostantivo maschile

COLLETTIVA “La notte è piccola”

“Niente paura, sebben che siamo donne la grammatica la conosciamo. E tuttavia, come definire

l’immagine che il programma delle Notti Bianche Unical 2012 ci comunica della nostra Università? Sembra quasi ‘naturale’ (e del resto, chi ne sarà mai accorto?): le attività, le parole e le idee degli uomini hanno dominato e dominano il paesaggio a noi noto, fin dove l’occhio può arrivare, dalle pianure bibliche ai grattacieli di New York. Avventurarsi su questo terreno (quello della parzialità maschile) significa dover fare i conti con molteplici paradossi e con la trappola del senso comune (maschile). E quindi dichiariamolo subito, prendendo a prestito il titolo di una bellissima trasmissione di Iacona di qualche anno fa: l’Università della Calabria è “Senza donne”. Del resto, chi se ne sarà mai accorto? Non certo gli organizzatori (uomini) perché si trovano di fronte qualcosa che è, ed è stato nella storia, onnipresente. Non certo la maggior parte degli ‘utenti’, perché questa parzialità è abilmente occultata: gli uomini continuano a parlare a nome dell’umanità. Insomma, questo patinato depliant non fa altro che riprodurre, per l’ennesima volta, questa invisibile parzialità; ancora più grave, se possibile, è che in gioco ci sia un’università, che ha (dovrebbe) avere il compito non solo di essere un’avanguardia culturale, ma anche di ‘sfidare’ i luoghi comuni, di ‘andare oltre’, di decostruire posizioni e concetti.  Nel patinato programma dell’Unical, lo ribadiamo, la presenza delle donne è pressoché inesistente. Termini troppo forti? Traduciamola in linguaggio accademico: slitta decisamente verso una presenza di minoranza. Una minoranza, si sa, è eccentrica per definizione, è un satellite del pianeta principale, è talvolta ‘etnica’, cioè un po’ strana, esotica.

E allora ripercorriamolo insieme questo programma.  Si parte il 21 giugno con le mostre degli artisti e degli autori; verrebbe da rimproverarli per il linguaggio ‘al maschile’, ma in questo caso hanno ragione: su 9 (nove) artisti non si è trovata neppure una donna. Scrive Maria de Fátima Lambert (2006): «Le artiste donne sono sempre esistite da quando l’arte esiste ma fino al XVI secolo il loro contributo, la loro presenza […] rimane poco visibile». Fino al XVI secolo? La collega non conosce le Notti bianche, è evidente.

Proseguiamo con la presentazione del libro “Pietro Bucci. Un ponte verso il futuro”. Non abbiamo letto il libro: immaginiamo che ripercorra i 40 anni di storia dell’Unical. Intervengono illustri colleghi, ordinari e emeriti. Neppure una donna che ragioni su questo importante traguardo della nostra università. Vada per il soffitto di cristallo, ma questo sembra più una calotta di piombo.

Attraversiamo velocemente (non ce ne vogliano i protagonisti – uomini) presentazioni di libri e osservazioni astronomiche, soffermiamoci con rispetto sulla visione collettiva di uno strano gioco nel quale 22 uomini rincorrono una palla, per giungere al primo vero momento ‘di genere’. Sono le 21.00 e, al Centro Sportivo, il Gruppo coreografico Danza del Ventre allieta la serata. Arte sicuramente affascinante, molto probabilmente vedremo persino qualche donna che si cimenta, qualche dubbio sulla scelta (e sul contesto nella quale si inserisce) ci permettiamo di sollevarlo. E meno male che alle

23, Centro RAT, finalmente i giovani europei ci inducono a sperare: “The shadow monster” è il titolo del loro progetto. Un fantasma si aggira per le Notti bianche….O si parla di altro?

Ci dicono che al Torneo di calcetto partecipa la squadra femminile del CUS. Viva le Pari opportunità.

Nel frattempo, Mogol ci racconta dell’identità e del valore della musica popolare (intervengono due uomini), proiettano un film e presentano un libro e un romanzo. Vi proponiamo un esperimento: scorrete i nomi nelle due colonne che concludono il programma del 21 giugno. Procuratori, docenti, carabinieri, questori, giornalisti (sono 22 in tutto) e una sola donna, fra l’altro protagonista di un film, che fra l’altro interpreta una vittima (di mafia).

Prima di tornare a riveder le stelle, c’è il cinema italiano di serie B. Violenza a profusione. Magari se parlasse anche di violenza di genere, visto che ogni 48 ore in Italia è uccisa una donna, l’Università farebbe il suo mestiere. Invece c’è un film con Barbara Bouchet.

Seconda giornata. Ancora seminari, film, commedie brillanti e musica. Parliamo di mafia (e qui abbiamo la prima presenza istituzionale femminile), di populismo, di Saint-Exupery (una giornalista modera, gli uomini intervengono) e ancora cinema italiano di serie B, calcetto, osservazione della volta celeste. Meno male che il giorno dopo (23 giugno) dopo tanta osservazione, c’è il collegamento con la più importante astrofisica italiana, Margherita Hack. Ne siamo contente, ma non ci basta. Avremmo potuto suggerire (a proposito, chi ha progettato questo programma, quali i soggetti coinvolti? che criteri di scelta/selezione sono stati adottati?) che la professoressa Hack parlasse di un tema all’ordine del giorno in tutte le più importanti università europee, e in cima alle priorità di ricerca comunitarie, come ‘Genere e Scienza’. Invece, Margherita Hack compare ‘in collegamento’, presumibilmente per commentare un senz’altro interessante argomento “Ruolo e importanza della comunicazione scientifica in Italia”. Il relatore? Un uomo. Margherita Hack? Una presenza eccentrica; anzi, visto il tema, ‘aliena’.

Alle 21, uomini (tre) discutono del ruolo della sanità e la proposta degli oncologi sulla sostenibilità. Ci dicono che le donne medico, in Italia, sono il 52%. Staranno facendo il turno di notte?

Giusto il tempo di segnalare una presenza paritaria  per la presentazione del libro di Gregorio Corigliano ma è solo un attimo: alle 23 parliamo di filosofia e due filosofi (uomini) discutono con un filosofo (uomo) di “Filosofia e scienza di fronte ai temi della vita”. E sì che noi donne qualcosa da dire l’avremmo, ma del resto per Kant la negazione alle donne dei diritti politici si giustificava con la naturale incapacità di argomentare in pubblico, avvalendosi con piena maturità della ragione; per Hegel: «l’uomo ha la sua reale vita sostanziale nello stato, nella scienza e simili» mentre «nella famiglia […] la donna ha la sua destinazione sostanziale».

“La curpa è di l’amuri”, ci suggerisce Rosa Martirano (una donna!) alle 22.30. Le colpe non ci interessano – e neppure le assoluzioni. Ma qualcuno si prenda la responsabilità di questo programma non-decente, per favore.

Post scriptum Immaginate se le relatrici/testimonial/esperte ecc. fossero state tutte donne. Sarebbe saltato

agli occhi di chiunque, e avremmo avuto la rivoluzione”.