Madri precarie e vendette felici

La mamma di Laura, la mia più antica sostenitrice nel web, è precaria tanto quanto lei. La racconta sul suo blog e io avrei mille cose da dirle, in questa comunicazione tra precarie che si consolida e diventa una voce alta, forte, autorevole, che non puoi non ascoltare.

Lo sai, cara Laura, che abbraccio te, tua madre, forte forte. La vorrei conoscere tua madre e vorrei farmi raccontare la musica, che resta nella testa e nelle mani perché quella almeno precaria non dovrebbe essere. Vorrei ascoltare la colonna sonora della precarietà, se lei è in grado di comporla o di suonarla, per le donne come lei e per le donne come me e te. E la vorrei vicino durante una manifestazione in cui andiamo a suonare, perché c’è sempre qualcosa da suonare, un clacson, un campanello, una stoviglia, a quel ministro ignorante che prende filosofe, musiciste, pensatrici, intellettuali, scrittrici, artiste, e le mette a pulire le sue scarpe e a rammendarle le mutande. Tua madre è precaria. Tua madre è una di noi. Mai sola. Mai muta. Dille di aprire un blog perché troverà tante come noi ad attenderla e di blog di Malafemmine e di Laure dovrebbero essercene a centinaia perché noi siamo cento, mille, decine di migliaia di cervelli che devono rendersi visibili perché rappresentiamo la peggiore minaccia per questi governi di mediocri ignoranti.

Lo vedi che succede, in questo scambio virtuale? Che le voci si moltiplicano e diventano reali e che la forza si dà forza e ci troviamo strette le une alle altre, mano nella mano, più forti, più coraggiose, perché l’abbiamo detto, siamo visibili, noi esistiamo, e basta così poco a dirsi, pronunciarsi e avere la voglia di stringere l’altra mano, quella che viene dopo e poi ancora un’altra.

Ci pensavo oggi, a questa cosa del vivere nella precarietà, e ad un amico che mi diceva che la migliore vendetta è essere felice. E noi abbiamo le risorse per essere felici, ricordando e mai negando a noi stesse quello che siamo.

Guarda noi che abbiamo l’arte nelle mani, e capacità, idee, intelligenza e poi tua madre che ha la musica nelle mani e sicuramente nel cuore. Guarda noi che riusciamo a guardare il mondo da lontano, eppure ne facciamo parte, perché lo vediamo intero quando altri lo guardano soltanto a spicchi e non ne vedono che piccoli frammenti.

Guarda quanta ricchezza e cuore e emozione ci può essere nelle cose che comunichiamo e quanto fredde sono le parole di chi si immagina superiore a noi.

Siamo precarie perché valiamo troppo. Siamo precarie perché in questo tempo governano gli inetti e quelle come noi restano a margine e vorrebbero perfino impedirci di pensare. E se la mia vendetta è essere felice, dirla tutta la mia felicità di essere quella che sono, che mai vorrei essere diversa, la vendetta di tua madre è suonare, prendere il pianoforte e pigiare i tasti, forte, per tirare fuori l’armonia che volevano toglierle e per sentirsi e far sentire che non si è spezzata ancora, che regge il ritmo e torna a essere, respirare, amare e amarsi, ché è quello che vogliono toglierci facendoci passare da una scrivania all’altra, in luoghi grigi, umidi e senza vita.

Invece noi passiamo il tempo a ripassare quei due o tre segmenti che ci rendono vive e investiamo in una pianta che decori la scrivania, un adesivo che dia tono alla parete grigia, un poster che ci rappresenti, quelle cose che di ufficio in ufficio portiamo via perché la precarietà ti dice che il grigiore non è tuo e non te lo puoi portare appresso, per fortuna, e puoi portare con te solo il colore, quello che hai dentro e che risulta insopportabile ai padroni in doppiopetto dagli abiti grigiotopo.

Ho una musica del buon umore, giusto per parlare di musica, che porto sempre con me e che ho usato molto anche in questi mesi. Indosso le cuffie e la ascolto a tutto volume, e penso che non potranno togliermela, dalle orecchie, dalla testa, dalla vita, dalla pelle che vibra al ritmo di quelle note e che non riesce a stare composta e priva di sensi anche se tutto dice che io, precaria, dovrei avere una pelle morta e senza note dentro.

C’è tua madre e c’è la mia, ci sono tante madri che hanno passato il tempo a tentare di rendere meno precarie le nostre vite e che si ritrovano a guardarci negli occhi per dirsi mortificate del fatto che giusto loro non sanno garantirci futuro. E oltre la beffa anche l’umiliazione, quella che provano immaginando di doverci qualcosa perché non sanno, loro, che noi le comprendiamo fino in fondo e che non pretendiamo certo da loro le garanzie per i diritti che dovrebbero esserci riconosciuti da ministri e padroni.

Le madri sono madri, precarie come sono, da sempre o forse dopo un po’, colpevoli di non durare in eterno, di avere bisogno di riposo, di non poter reggere a lungo quel peso sulla schiena, colpevoli di non essere d’acciaio, perché da noi quelle che sono di carne e ossa diventano da rottamare perché i ministri vogliono carne giovane da far sentire in colpa dicendo che non amano mai fare i mestieri d’una volta, e vogliono che la carne stanca invece che godere del meritato riposo si senta vecchia e brutta e un peso per questa società decadente fatta di padroni e schiavi.

Parlavo questa sera con una signora che ho incontrato qui e mi diceva che dopo anni di schiavitù in uno studio d’avvocato, lei che è perfino procuratore legale, dato che non ha i soldi per aprire uno studio suo, il figlio dell’avvocato, che ovviamente non ha fatto tirocinio di nessun genere ma si è insediato subito dopo la laurea, ha deciso di “svecchiare” lo studio per una questione di “immagine” e tra poco quella donna si ritroverà in mezzo alla strada e non sa davvero come fare.

La ritroveremo anche lei, giacché non esistono oramai categorie protette, per quanto tu abbia studiato e ti sia fatta il culo, a parlare forse attraverso un blog. Sicuramente arriverà per strada a raccontarsi e urlare perché dopo che hai fatto tutto e ti hanno tolto tutto, spesso, non resta che questo: urlare. E vado per associazione, la precarietà, la musica, l’arte, l’urlo che poi è un canto e quelle persone che vediamo in piazza stanno cantando, ché sono quegli altri che gliele tirano addosso che invece urlano perché non hanno note e quelle poche che possiedono sono stonate.

La vedo intera la mia vita e so che per me non sarà diverso da tua madre o dalla mia o da quelle tante che dovranno cercare casa assieme e darsi una mano reciprocamente perché altrimenti ci faranno crepare di solitudine e povertà.

Io l’ho cercata la mia felicità e ce l’ho in pugno, ora, sempre, si chiama me e mi regalo alle madri che si scoprono precarie e a me stessa e a quelle che mi somigliano perché ho smesso di raggranellare indizi e ho già capito: mi voglio vendicare, perciò sarò felice. E scrivo. Per me.


15 responses to “Madri precarie e vendette felici

  • HCE

    giusto per riconoscere i meriti altrui, credo che la fonte sia questa
    (per quanto in una forma un po migliorista)

  • Ernesto Osborne

    Precari siamo sempre nella vita. Ma come ben dici, la migliore “vendetta” é essere felici. Comunque la vita e quello che ci succede veramente intanto cerchiamo di fare quello che vorremmo fare.

    Scusa il mio italiano. Fa piacere leggerti, molto

  • messi

    “Siamo precarie perché valiamo troppo” ? mah…
    Io sono precario e la colpa è mia: certo nessuno conosce il futuro, e se mi ero laureato magari adesso ero precario comiunque, o forse no, magari avevo il mio buon posto fisso, che è una cosa + probabile

    poi a dire che il mondo è ingiusto e non abbiamo quel che meritiamo sono bravi tutti
    …ma chissà perchè lo dicono sempre i precari 🙂
    conosco tanta gente che ha fatto strada nella vita perchè se lo sono meritato, hanno dimostrato qualcosa, è la differenza con noi che finora non abbiamo dimostrato niente ma diciamo che valiamo troppo…

    • Just Laure'

      @Messi: l’autoconsapevolezza è una gran bella cosa. Se la tua precarietà credi sia dovuta alle tue scelte… bene. Ma non generalizzare perchè per quanto riguarda me posso dire, con moltissima consapevolezza, che la mia di precarietà non è colpa mia. Con altrettanta consapevolezza posso dire che merito molto di più dell’angoscia dei contrattini co.co.co. o dei lavori senza nemmeno il co.co.co. A differenza tua, ho una laurea, un dottorato, ho insegnato, sono stata un “cervello” in fuga e ho le palle piene di un sacco di discorsi, compresi i tuoi quando esprimono generalizzazioni in cui non mi ritrovo. Niente di personale, eh?! 🙂

  • Malafemmina

    @Laurè :*

    @Ernesto, il tuo italiano è perfetto 🙂 Grazie!!

    @Messi, io valgo troppo, tu non so. Io ho dimostrato tanto, tu non so.
    Non so cosa hai fatto nella vita e se hai commesso degli errori, cosa concessa a tutti, magari svegliati e lotta o se non vuoi lottare non demolire la fiducia che gli altri hanno in se stessi perché il lavoro del mea culpa forse puoi farlo dentro di te senza coinvolgerci nei tuoi pessimismi cosmici.

    Thanks a lot, anyway per il tuo commento.

    • messi

      Certo leggere di Laurè che si trova in questa situazione nonostante i suoi titoli fa impressione, ma resto del parere (del tutto personale) che la maggior parte dei giovani precari sono tali per propri errori

  • HCE

    no, ma questa corsa all’autoflagellazione non ha proprio senso.

    ora capisco che io parlo dal letto di lana di una situazione lavorativa stabile, fin troppo, e nemmeno troppo insoddisfacente. e che non posso vivere la vostra esperienza di radicale incertezza del futuro, dipendenza, ricattabilità, umiliazione.
    come non posso vivere il male di vivere di un figlio di papà che ha tutto garantito e non si è guadagnato nulla, e non ha nulla di cui andare fiero nella sua vita. o di chi – ne ho conosciuto uno recentemente – ha sgobbato mezza vita rovinandosi più l’anima che il corpo per poi mettere il figlio in quella condizione.
    cioè, io questa dimensione non l’ho vissuta.
    anzi si, ma come qualcosa di cui ho avuto sempre paura, e che mi ha spinto a scelte di vita e di studio che mi hanno reso più appetibile sul mercato ma mi hanno tolto delle cose come persona.

    e insomma, ognuno poi si guarda in faccia e fa i conti con le scelte che ha potuto fare, quelle che ha effettivamente fatto, le cose che non ha deciso e i risultati complessivi con cui deve convivere. sono conti da fare.
    ma se li fai sul formulario del padrone, non hai capito tante cose.
    si, parlo con te, massi.

    cioè qui il problema non è che il lavoro sia garantito dignitoso e retribuito per tutti. non è uno stato sociale che ammortizzi la violenza del mercato perché sennò le mucche si spaventano e non fanno più latte. non è insomma una gabbia con la gommapiuma colorata sulle sbarre e il vitto con tanto bacon.

    certo questi sarebbero miglioramenti importanti nella vita di molte persone, e ha totalmente senso lottare per ottenerli.
    ma NON SONO UN SOGNO.
    sono solo i compromessi che possono avere un senso in un certo qui ed ora storico.

    il problema è il lavoro.
    è che troppe delle cose per cui ci pagano sono inutili. o dannose.
    è che fare una cosa inutile ti toglie molto più di quanto qualsiasi somma di denaro possa restituirti.
    o renderti conto che la tua posizione di privilegio è costruita sullo sfruttamento di altre persone, sul rendere infelici le persone, sulla distruzione del pianeta.
    è che abbiamo una vita breve, nemmeno sappiamo quanto. e quanta ne sprechiamo per pagarci cose che non ci rendono felici?
    è che troppo spesso ci lasciamo scrivere i desideri. e questo, scrivere i desideri alla gente, è uno dei lavori più malvagi. e che fanno più male a chi li fa.
    è che non ci prendiamo il diritto di sognare.
    e soprattutto di chiederci se questi sogni poi ci piacerebbero davvero.
    è che potremmo essere molto più felici di così.

    è che non sembra ci sia qualcuno che ci guadagna davvero da questo stato di cose. che tutti avremmo da guadagnarci a uscirne.

    però sono conti che non puoi fare in euro.

    mi hanno raccontato che una volta a lione per gioco si sono inventati una moneta, che è durata per il tempo di una festa.

    si chiamava “l’heureux”. il gioco di parole è intraducibile: la parola significa felice, ma suona molto simile a “euro”.
    beh, l’avevano capita giusta. quella sarebbe la moneta su cui basare l’economia.

  • Cornelia

    Mi unisco al coro di chi sa di valere e si e’ vista passare avanti da gente che non sa neppure usare i congiuntivi, ma che dico, nemmeno usare le parole corrette, pur essendo italiano di nascita e con genitori italiani!
    Ho una laurea col massimo dei voti, ho studiato all’estero ed ho la bellezza di 15 anni di precariato alle spalle, di cui 5 svolti ancora mentre studiavo.
    Chi sarebbe questa gente che vale e che ce l’avrebbe fatta senza aiuti? Ne siamo sicuri?
    Io non ne ho ancora conosciuta e dire che ne ho girati, di posti in Italia.
    C’e’ anche tanta gente che mente, dicendo di avercela fatta per bravura e poi, chissa’ perche’ scopri che genitori e zii sono “ammanicati” fino alle orecchie, ma loro no, non ammettono di aver ricevuto l’aiutino.
    Caro/a Messi, se non hai continuato a studiare, cavoli tuoi! Ma non coinvolgere gente che s’e’ fatta un mazzo cosi’di lavoro e studio, nonche’ di porte sbattute in faccia, per dire che in fondo in fondo hanno ragione i nostri politici.
    In Italia non c’e’ meritocrazia: dire che in questo paese ce la fa chi e’ bravo e chi non ce la fa ha colpa, e’ la cazzata del secolo.
    Svegliati, che e’ l’alba da un pezzo!
    Sono stufa di questi discorsi del cacchio…ecco chi ha votato certi criminali dei nostri governanti!
    Malafemmina, scusa lo sfogo, ma quando una e’ stanca ed arrabbiata da tempo, poi esplode.
    Imparero’ a non farmi mangiare dalla rabbia e ad essere felice: lo devo a me stessa!
    Cornelia.

    • messi

      Ma i commenti che vedono mi lasciano un pò stupefatto: posso dire o no che ho fatto scelte sbagliate se ho fatto scelte sbagliate ?
      che c’è di strano ?
      devo per forza incolpare il padrone cattivo che schiavizza il povero precario ? Che poi lo schiavizza sul serio intendiamoci, ma mi ci sono consegnato da solo nelle sue mani
      perchè non posso dirlo se è la verità ?
      Possibile che sia l’unico italiano fesso che si trova in certe situazioni ANCHE per colpa sua (che poi ti sfruttino in modo indegno, appoggiati da leggi e politici indegni sono d’accordissimo con voi) e tutti gli altri milioni di italiani lo sono a causa di questa cattiva società capitalistica ?
      te lo dico chiaro Cornelia: ne ho conosciuta di gente che ce l’ha fatta con le sue forze, e ne ho conosciuti TANTI! e metto TANTI in maiuscolo perchè si capisca bene! è chiaro ???
      Che la spintarella sia usanza diffusa in Italia non c’è dubbio, che esista solo quella non è vero, è la solita generalizzazione!! Ma è una comoda scusa per giustificare a se stessi i propri sbagli
      Ma davvero si sta parlando dei poveri precari o è solo una scusa per fare i soliti slogan politici e la solita predica MESCHINA E INVIDIOSA di chi non ha nulla verso coloro che hanno quello che vorreste tanto avere voi ? senza offesa per nessuno, ma queste discussioni mi stanno facendo venire dei dubbi

      • Malafemmina

        @Messi, sei arrivato qui elargendo generalizzazioni e giudizi a destra e a manca. Ci stai insultando, e si che lo stai facendo, perché gli altri non vedono la mole di insulti che io sto ripulendo via dai tuoi commenti e al prossimo che trovo il tuo commento sparisce per intero.

        hai deciso che noi siamo precari per i nostri errori, poi tutta una serie di illazioni, guai a fare ipotesi sul tuo stato soggettivo, che sarà certamente causa di questo tuo modo di vedere le cose, e ora ti permetti perfino di dire che noi siamo invidiosi.

        allora lasciatelo dire da una che non ha invidia nei confronti di nessuno perché concepisce la vita non fatta di consumi e in un modo che tu evidentemente non riesci neppure a immaginare.
        delle tue generalizzazioni e dei tuoi insulti qui possiamo fare a meno.
        di tutta la tua rabbia rivolta a chi rivendica diritti possiamo fare a meno.
        dei tuoi maiuscoli ridondanti per sottolineare parole che sono importanti, forse, per te, possiamo fare a meno.

        dopodiché sono io che dubito perché questo blog è stato oggetto ultimamente di attenzioni non gradite da parte di persone che per partito preso hanno deciso che dovevano trascorrere il loro tempo a mollare insulti. e il tono “personale” di certi riferimenti alle cose scritte su questo blog mi lascia intendere che lo leggi e forse lo subisci.
        e dunque, dato che nessuno ti obbliga e mi pare tu sia tanto adulto da riuscire ad aprire un tuo blog, sarò curiosa di leggerne uno in cui farai mea culpa e dirai che secondo il tuo punto di vista tutti i precari, quelli che conosci tu, sono figli dei propri errori. Ok?

        Ciao

  • Cornelia

    Brava mala!
    Abbraccio!
    Cornelia.

  • akinokami

    Buongiorno a tutti e perdonate l’intromissione. Il tema del precariato, e più spesso, della disoccupazione, mi tocca da vicino e vorrei dire anch’io due parole.

    Innanzitutto grazie a Malafemmina: leggere il tuo articolo è come ricevere un abbraccio, una pacca sulla spalla e un sorriso. Armarsi di felicità contro questa società precaria e bastarda è il più grande atto di coraggio possibile. Non facile, certo, ma necessario per non vendersi anche l’anima.

    L’Arte, la Musica, quelle cose “perfettamente inutili” come diceva Wilde, saranno loro a ridarci la gioia di essere noi stesse, la forza di ritrovarci, di guardarci davvero allo specchio. Come dicevano gli antichi Cinesi, c’è una sorta di armonìa nell’Universo, una risonanza cosmica che ci lega tutti, una sorta di Teoria delle Stringhe ante litteram. E’ bello pensarci. E’ bello credere fermamente che le corde delle nostre arpe, dei nostri pianoforti, dei nostri guzheng possano intervenire positivamente sul respiro del mondo. Mai smettere di crederci! Mai smettere di suonare!

    E ora veniamo a Messi. Credo che sia un giovane uomo non ancora toccato da anni di esperienze negative come noi. Apprezzo il suo – magari un po’ maldestro – tentativo di spronarci al “fare”, ma credo che il suo sguardo sul mondo sia ancora celato dietro al velo dell’inesperienza. Anch’io conosco TANTI che si sono messi in proprio e che hanno raggiunto discreti traguardi… ma non arrivano a fine mese.

    Un saluto.

  • Malafemmina

    è confermato che il tale, messi, deve essere lo stesso (o uno della stessa risma) che mi insultava giorni fa. sul post che parla di peso insulta le donne di ogni età e peso e evoca il bordello del “cognato di un suo amico” e torna con le ungheresi. il commento è ovviamente finito al macero.

    fattelo dire: tu stai male!
    e questa ossessione per gli insulti che lasci qui non ti premierà di certo. avessi tutto ‘sto da fare con ungheresi e bordelli non te ne staresti qui a sfogare tutta la tua frustrazione e la tua mediocrità.

    grazie per aver chiarito che non mi ero sbagliata.

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