C’era una volta la coscienza di classe (precaria)

Sono sveglia e di nuovo senza un lavoro. I miei genitori, come sempre, formano due precise fazioni. Mia madre non sa trovare un ruolo a meno che non ci sia qualcuno da assistere. E’ una brava persona, con tanta voglia di aiutare, ma non capisce che così mi toglie autonomia. Mio padre, forse per egoismo, perchè non vuole dividere la sua compagna con me, forse perchè ha bisogno del suo aiuto, forse perchè mi vuole bene, forse proprio perché sa cosa vuol dire essere dipendenti da qualcuno, mi incoraggia e mi incita a resistere e lottare.

Ieri sera a casa mia c’era una specie di corteo di facce da lutto. Tante condoglianze, quella Malafemmina è stata proprio una santa (oddio!), era così bella, aveva così tanto senso dell’umorismo. Il lutto in realtà era un pretesto, una circostanza, perché la fine del progetto ha lasciato a casa un bel po’ di gente.

Wolf, il tecnico delle luci, altri colleghi, gente delle più svariate professioni, tutti assunti con contratti a progetto o con altro genere di incarico a tempo. Wolf voleva consolarmi e in realtà ha finito per scaricarmi addosso le sue ansie. Credo proprio che in questo momento non potrei reggere attorno persone come lui. Mi tolgono il fiato e io non riesco a essere l’antidepressivo di nessuno. Se non è reciproco aiuto dovrebbe almeno essere l’occasione per riprogettare qualcosa.

Una amica di Wolf mi dice che stanno discutendo di un progetto indipendente, una cosa che non si sa dove inizia e dove finisce, di quelle che non ci sono soldi ma c’è tanto entusiasmo, e io sarei utile, anzi secondo lei utilissima, ma senza garanzie di uno stipendio…

“e però possiamo costruire qualcosa…”

Ma certo, costruiamo, progettiamo, diciamo, pensiamo. Ecco, soprattutto pensiamo. Non lasciamoci sfuggire l’occasione di pensare. Prima che arrivi il fine settimana e che io sia di nuovo a trascinarmi tra tavoli di gente impazzita che beve proprio perché è allergica ai pensieri.

Ho trascorso una notte quasi insonne in cui mi tornavano alla mente gli esempi più frequenti ai quali assisto tra le persone che conosco.

La depressione o il ritorno dai genitori. Non volendo scegliere nessuna delle due opzioni, dato che ho tanto tempo libero, non mi resta che la rivoluzione.

Per il resto, stamattina non ho voglia di mettermi a cercare qualcosa da fare nei prossimi mesi. Chiacchiero su faccialibro con tante belle persone che tra una vita e l’altra trovano il tempo di regalarmi parole che attenuano la mia solitudine sociale. E le parole sono importanti.

Credo bisognerebbe creare uno spazio in cui chiunque abbia ricevuto un brutto colpo possa attingere a iniezioni di sicurezza. Non parlo delle frasi di circostanza ma di quella rabbia solidale, vera, che si sente a distanza tra un bit e l’altro, che puoi cogliere perché chi te la trasmette vive delle tue stesse speranze e dei tuoi stessi problemi. C’è tanto più distacco nelle frasi di chi finge di preoccuparsi di te mentre immagina quali lavori assegnare alla colf. E mi viene in mente una cosa che giudicherete vetero ma che per me, in queste circostanze, torna ad essere un valore. C’è una comprensione autentica, che passa tra soggetti che hanno coscienza di quello che vivono. Una volta si chiamava coscienza di classe. Ora non saprei come definirla perché non so neppure se per le precarie e i precari come me sia adeguato il concetto di “classe”.

Siamo una “classe” noi? E se si di che tipo? La classe degli e delle invisibili? Di quelli che alla prima difficoltà finiscono sotto i ponti? Demonizzati dalle imprese che dicono di non poter andare avanti a causa dei lavoratori consapevoli e perseguitati da usurai di ogni genere che bussano alla tua porta per toglierti l’aria che respiri perché non hai saldato la bolletta dell’immondizia.

Vai a spiegarlo che se non guadagni non compri e se non consumi non scarti e se non scarti non produci immondizia.

Dedico comunque questo post a loro, alle persone che sento solidali per appartenenza alla stessa “classe”, persone le cui vite mi sono sconosciute, ma che sento vicine, coinvolte, che mi spronano a reagire e che ieri, mentre trattenevo le lacrime dopo aver saputo che non avrei avuto più un lavoro, sono state lo specchio che mi ha permesso di vedere la parte che di me più preferisco.

Quella che resiste. Quella che esiste. Quella che vive, nonostante tutto!


7 responses to “C’era una volta la coscienza di classe (precaria)

  • dadepalma

    esistiamo! esistiamo! e un giorno di questi qualcuno dovrà pur far i conti con sta situazione assurdo che ci hanno creato!!!

  • antonella policastrese

    Cresce la nuova classe delle sfigate e degli sfigati. Coloro i quali si svegliano una mattina e si accorgono di essere stati trasformati in poveri. Poveri e indigenti. Mentre la vita fuori continua allo stesso ritmo, tanta gente si muove fa le cose di sempre, ti accorgi che tu non puoi fare altro che spiare dalla finestra il nuovo giorno che sta nascendo.Nasce un giorno e le speranze muoiono. Sai che d’ora in avanti sei sola con i tuoi problemi che si risolve in un unico solo problema, incapacità di non avere soluzioni a portata di mano di avere il portafoglio vuoto e ciò che è peggio di non sapere a chi rivolgerti. Si è soli, completamente soli difronte alla propria sfiga e non capisci con chi prendertela per prima. Con te stessa! Certo con te stessa. Intanto cominci a pensare e all’improvviso scopri che non era questo il mondo che sognavi che qualcuno lo ha messo maledettamente a testa in giù, mettendo da una parte l’esercito degli indigenti e dall’altro la schiera degli eletti. Coloro i quali continuano a guardarti dall’alto in basso che sprecheranno per te solo una parola:poverina!Sfigata sei e sfigata rimani. E così mentre gli eletti arrogantemente sono afflitti da un unico problema spendere e spandere, scegliersi la meta estiva o il nuovo look per l’estate, la vita di tanta gente come me, scorre come granelli di sabbia in una clessidra e lì dentro il tempo scorre senza che tu possa avere un minimo di riscatto. Sei stata etichettata come debole. Sei povera da far schifo e la tua vita vale meno di niente. Non sei una voce, quella di tanti altri è più argentina della tua. Sei solo un fantasma,il fantasma di te stessa. Una donna senza sogni e senza passioni….

  • pàmela

    semplicemente grazie.

  • Just Laure'

    Noi esistiamo… ? Ad intermittenza. Fra l’inizio e la fine di un contratto a progetto. Fra l’inizio e la fine di una delle 3000 telefonate che devi fare durante il tuo orario di lavoro (?) dal call center. Fra l’inizio e la fine delle discussioni che terrai con gli addeddi dell’ufficio caf che ti diranno che quest’anno hai guadagnato talmente poco da non aver diritto nemmeno ai contributi fiscali. Esistiamo nei ricordi dei nostri genitori che credevano che saresti diventata qualcos’altro (sì, ma cosa!). Esistiamo fra l’inizio e la fine della campagna elettorale del candidato a sindaco della tua città che tra un proclama di libertà e un inno al riscatto sociale, spende milioni di euro per tappezzare i muri e finanche i tronchi degli alberi (non sto scherzando) di inutili ed orripilanti manifesti col suo faccione levigato. Esistiamo per rallegrare i discorsi di chi – figlio di avvocato – è diventato avvocato, figlio di commercialista è diventato commercialista, figlio di dentista è diventato e si fa beffe di te che alla domanda: “ma tu che fai” rispondi sorridendo: “faccio cose, vedo gente… e mi faccio pure un pacchetto di cazzi miei”. Potrei continuare a lungo… ma diventerei noiosa. Per quel che serve, io sento di esistere nella rabbia che m’accende lo stomaco ogni volta che qualcuno mi domanda: “perchè non te ne vai?”. Non sono io quella che deve andarsene. E’ chi mi ha tolto il futuro che deve andare via, io rimango dove sono, e soprattutto rimango a Sud. E forse rimarrò con un pugno di mosche… ma ora la mia coscienza grida che non posso fare altro: sono una donna meridionale. Sono una intelligente, precaria donna meridionale.

  • Valentina

    Dopo aver letto il tuo post del mancato rinnovo sono inbestialita più che mai. Sono mesi che ti leggo e quello che scrivi sembra così tanto un’estensione dei miei pensieri che mi sembra quasi ti conoscessi. E in effetti. hai ragione, è questa la coscienza di classe precaria, un’energia che ci ricollega tutti agli stessi dilemmi: senso di vuoto, senso di identità smarrito, senso di apparteneza a nessuno e neanche a sè stessi. Perchè la prima cosa in cui si ricade è l’autocondanna. Ci si sente quasi colpevoli di essere senza prospettive. Si inizia a chiedersi ” ma forse non sono abbastanza. Non sono abbastanza brava. O non mi muovo abbastanza”.
    Ma in realtà ciò che non si muove non siamo noi ma un intero sistema che premia chi può e danneggia chi ha capacità e determinazione.
    E poi si passa alla rabbia. Dall’auotcondanna alla rabbia.
    Questo blog aiuta a sentirsi meno soli a tutti noi precari appartenenti all’insieme dei senza futuro.
    Continua a scrivere e a non dimenticare chi sei. La rivoluzione non la fanno i figli di papà con il pugno alzato, ma chi, con gli anticorpi inerti, continua a lottare nel quotidiano.
    La nuova guerra la sta facendo la nostra generazione. Solo che noi siamo completamente senza armi.

  • Schiena dritta e sguardo fiero « Malafemmina

    […] avvilita. Trovo su faccialibro tanti messaggi resistenti, di quelli che arrivano da chi ha coscienza di classe. Stamattina uno dei miei amici precari mi ha dato il buongiorno con questo capolavoro di corto di […]

  • Teorema: se odi te stesso odierai tutte le donne! « Malafemmina

    […] Mi ha abbordata in una piazza, mentre stavo seduta sui gradini di una chiesa a bere un succo di frutta assieme ai miei compagni di sventura del progetto finito. […]

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